venerdì 22 febbraio 2013

Linkin Park - Living Things... Partorito...



Facendo sempre le dovute premesse sulla mia totale non competenza in materia di recensioni musicali, premesse già ampiamente descritte nei precedenti blog, mi preparo a quella che sarà una delle più difficili considerazioni sul lavoro di una delle mie band preferite. Poco importa, in questa bollente notte di fine giugno (modificata mesi dopo), di chi sarà d’accordo e di chi avrà da ridire. Le opinioni che nascono dal ventre umano vanno rispettate anche se non condivise. La musica non ha argomenti ma solo emozioni.
Sebbene siano diversi giorni che ascolto Living Things non ho ancora chiaro il concetto che voglio esprimere. Mi piace pensare che a qualcuno interessi il mio punto di vista, quindi anche se la musica genera emozioni e sensazioni diverse nell’anima di chi la subisce, al momento credo di poter descrivere la mia raccolta di sensazioni e descrizioni che potrebbe poi rimanere tendenzialmente coerente anche nel futuro o cambiare.
Nessun individuo è in grado di gestire le proprie emozioni, esse esplodono o crescono gradualmente dentro di ognuno di noi, esse si disintegrano in un istante o si affievoliscono minuto dopo minuto. Se fossimo in grado di gestire le nostre emozioni saremmo morti come computer. Lungi da me l’idea di essere un computer, sono sempre stato felice di essere vivo, dinamico, volubile influenzabile.
Nel settembre del 1990 esce un album di un ormai noto artista internazionale che come immagine di copertina ha una foto in bianco e nero che raffigura un gran numero di persone (una folla divertita) e presenta una delle frasi che nella vita mi hanno accompagnato, a volte inconsapevolmente, a volte in maniera esplicita: Listen Without Prejudice. Sto parlando ovviamente di George Michael, artista poliedrico che per sempre rimarrà colonna portante della musica mondiale e allo stesso tempo simbolo di cambiamenti culturali epocali. Ma non è di quell’album che mi preoccupo ora ma della specifica frase “Listen Without Prejudice” perché sempre fu uno dei più grandi suggerimenti che accettai e rispettai nella vita. Invito che ancora oggi seguo con piacere e disinvoltura. Il più grande insegnamento che ho tratto da tale frase è non seguire mai molto la vita privata dei miei artisti preferiti, mi sono sempre volutamente rifiutato di indagare su fatti privati e intimi di quello che è il lato umano dei miei artisti preferiti per non esserne influenzato. La vita privata di un uomo rende quello stesso uomo un prodotto specifico ogni giorno in maniera diversa e non è necessario sapere se un artista assume droghe o ha comportamenti riprovevoli quando quello che si apprezza è il suo risultato musicale. Ho sempre considerato questo mio comportamento un importante fattore per sentirmi genuino e distaccato. Credo che tale modo di approcciarsi al mondo stravagante della musica debba essere un capostipite per tutti i ragionamenti e le considerazioni che facciamo sia nella vita. Sapere che uno dei nostri idoli si buca potrebbe indurci ad esaltarlo a priori se siamo convinti di essere ribelli al sistema, quindi falsare le nostre considerazioni sul prodotto musicale, così come potrebbe farci credere che sia un individuo da sdegnare, pregiudicando alla stessa maniera le nostre considerazioni.
La musica è il linguaggio dell’universo e noi dobbiamo comprenderlo per quello che la nostra sensibilità ci consente di comprendere, non per quello che l’oggettiva comprensione detta.
Siamo uomini vacui e fragili, non siamo esecutori di vita. Siamo interpreti di una vita che si evolve. Senza paura dobbiamo saper affrontare le tempeste e le giornate di sole.

Living Things dei Linkin Park è stata per me una grossa sorpresa. E’ un album pieno di incognite e allo stesso tempo una grande conferma. Le incognite sono legate alla scelta stilistica di alcuni brani ma più in generale a quello che è lo stile del marketing che lo accompagna, la grande e unica conferma invece riguarda le capacità tecniche assolutamente indiscutibili di una delle band che più di tutte produce musica di indescrivibile qualità.
A differenza di A Thousand Suns non ho ricevuto la stessa “sensazione generica” che lo ha contraddistinto dagli altri album, sensazione di generale piacere diffuso. A Thousand Suns tra l’altro è arrivato in un momento della mia vita molto particolare quindi indubbiamente ha generato una serie di emozioni potenti che forse ai altri momenti non sarebbe stato capace.

Living Things invece è arrivato dopo un grosso movimento di marketing che in un certo senso ha lasciato che si sviluppassero forti aspettative da parte dei fun e anche da parte del largo pubblico. Il primo ascolto dell’album è stato un po’ deludente, devo ammetterlo senza riserve. Non ho trovato né i Linkin Park che inventavano il New Rock all’inizio del 2000 né uno sviluppo tecnico o concettuale o un cambio epocale di un gruppo di ragazzi che scoprono la maturità artistica cambiando sentiero produttivo ed espressivo. Dal secondo ascolto in poi Living Things è diventato un album che se fosse uscito sotto il nome di “Pinco Pallino” avrebbe concorso alla categoria “Miglior Rivelazione” ad un’edizione dei Grammy Awards. Dal terzo ascolto in poi per dirla tutta era un disco che non aveva tantissime sorprese o tantissimi stimoli ma diventava un disco già sentito.
Dopo In The End e Papercut nessuno mai si sarebbe aspettato dischi come No More Sorrow, così come dopo A Thousand Suns nessuno si sarebbe aspettato un album che all’acquisto in prevendita avrebbe promesso una serie di remix. Vedere quella strana forzatura di comunicazione pubblicitaria sia su facebook che su altri social network mi ha dato fastidio. I Linkin Park non sono in commercio, non lo sono mai stati, i Linkin Park sono nell’anima di chi li ascolta. Purtroppo dopo A Thousand Suns, disco concept, credo abbiano dovuto sottostare anche loro alle leggi del mercato.
Ad ogni modo… descrivendo l’album… Nessun commento in maniera assoluta, sulla qualità del prodotto. Per un tecnico come me le tracce anzi, tutto il disco suona in una maniera incredibile. Il master come sempre supera ogni aspettativa. L’apertura affidata a Lost In Echo è azzeccata. L’ascolto inizia con un forte impatto e lascia un senso di attesa, un senso di coinvolgimento incredibili. Non ho analizzato i testi di tutti i brani come ho fatto per A Thousand Suns, lo farò in seguito magari. In My Remains come seconda traccia lascia un po’ in bocca il sapore del “mi aspettavo di più”. Sembra un disco da classifica popolare ma allo stesso tempo non ne possiede le potenzialità, infatti non è entrato in classifica. Burn It Down come singolo lancio è l’esatto messaggio ibrido di tutto il disco. Chi ha acquistato come me il disco in anteprima ha ricevuto diversi remix di producer internazionali, ma anche qui siamo sul “facciamo cassa” ma non ci sono riusciti come avrebbero voluto. Lies Greed Misery riapre le speranze dell’ascoltatore affamato di new rock. Sembra un pesce fuor d’acqua inserito in questo disco tendente al popolare. Spacca, spacca la ritmica, spacca la metrica, spacca la potenza dell’elettro rock, riporta il prodotto quasi alla dimensione originale dei Linkin. I’ll Be Gone mi ha riportato quasi alla media dell’album se non fosse stato per la potenza vocale di Chester. Sesta traccia… sesta traccia scinde il sapere umano in due. Sesta traccia di Living Things dei Linkin Park è la rivelazione che si attende quando si compra un prodotto di Mister Shinoda & Friends. Nessuna parola per definire l’esplosione atomica di questo disco che al primo ascolto mi ha catapultato in una dimensione parallela. Victimized è la settima traccia. Difficile da comprendere, brevissima, potente e dolce. Ha le carte per essere un disco dei Linkin Park peccato solo non sia stata inserita in Hybrid Theory ad esempio. Roads Untraveled è concept, intima, Roads Untraveled è il pezzo intimo del disco. Skin To Bone si apre con un sound altamente accattivante, potente dal punto di vista tecnico e dal forte impatto elettro. Segue un po’ la scia del precedente ma in fondo in fondo lascia un po’ l’illusione che prima o poi stupisca. Infine eccoci a Until It Breaks… altro pezzo che esce dal disco. Breve, quasi un teaser, tecnico, rude, carico di effetti, urban. Chester arricchisce per un attimo uno dei brani più belli del disco con una voce distorta che spacca l’equilibrio di quella metrica e aggressiva di Mike. Mike Shinoda è senza dubbio un fottuto genio e Chester Bennington un maledetto fenomeno… Concludere un disco del genere, ibrido dal punto di vista dell’originalità, parziale dal punto di vista del colpo al cuore, un po’ scarso dal punto di vista delle aspettative spetta a Tinfoil e Powerless, legate indissolubilmente. Musica riconoscibile e voce emozionale di Chester che riesce comunque a commuovere. Mostra il lato vero di chi si lascia andare davanti all’ammissione della propria sconfitta.
Avevo il sentore che dopo A Thousand Suns non ci sarebbe stato un lavoro altrettanto sperimentale, considerando le maledette leggi del mercato, ma avrei voluto rimangiarmi le aspettative. Mi manca l’esasperazione della voce di Chester in Points Of Authority e mi manca la capacità di ascoltare parti strumentali più complesse. Mi manca la sovrapposizione di Mike su Chester, mi manca quel senso di violenza che nasceva da brani rock contaminati dall’elettronica sperimentale come Bleed It Out o quel sapore di pop metal rock di New Divide…
Sensazioni. Emozioni. Ricordi. Comunque sia non ringrazierò mai abbastanza i Linkin Park per quello che mi hanno regalato… allo stesso tempo non li odierò mai abbastanza per non essere mai venuti a Roma…

Per me?
Numero uno:
A Thousand Suns.
Numero due:
Hybrid Theory.
Numero tre:
Minutes To Midnight.

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