Facendo sempre le dovute premesse sulla mia totale
non competenza in materia di recensioni musicali, premesse già ampiamente
descritte nei precedenti blog, mi preparo a quella che sarà una delle più
difficili considerazioni sul lavoro di una delle mie band preferite. Poco
importa, in questa bollente notte di fine giugno (modificata mesi dopo), di chi
sarà d’accordo e di chi avrà da ridire. Le opinioni che nascono dal ventre
umano vanno rispettate anche se non condivise. La musica non ha argomenti ma
solo emozioni.
Sebbene siano diversi giorni che ascolto Living
Things non ho ancora chiaro il concetto che voglio esprimere. Mi piace pensare
che a qualcuno interessi il mio punto di vista, quindi anche se la musica
genera emozioni e sensazioni diverse nell’anima di chi la subisce, al momento
credo di poter descrivere la mia raccolta di sensazioni e descrizioni che
potrebbe poi rimanere tendenzialmente coerente anche nel futuro o cambiare.
Nessun individuo è in grado di gestire le proprie
emozioni, esse esplodono o crescono gradualmente dentro di ognuno di noi, esse
si disintegrano in un istante o si affievoliscono minuto dopo minuto. Se
fossimo in grado di gestire le nostre emozioni saremmo morti come computer.
Lungi da me l’idea di essere un computer, sono sempre stato felice di essere
vivo, dinamico, volubile influenzabile.
Nel settembre del 1990 esce un album di un ormai noto
artista internazionale che come immagine di copertina ha una foto in bianco e
nero che raffigura un gran numero di persone (una folla divertita) e presenta
una delle frasi che nella vita mi hanno accompagnato, a volte inconsapevolmente,
a volte in maniera esplicita: Listen Without Prejudice. Sto parlando ovviamente
di George Michael, artista poliedrico che per sempre rimarrà colonna portante
della musica mondiale e allo stesso tempo simbolo di cambiamenti culturali
epocali. Ma non è di quell’album che mi preoccupo ora ma della specifica frase
“Listen Without Prejudice” perché sempre fu uno dei più grandi suggerimenti che
accettai e rispettai nella vita. Invito che ancora oggi seguo con piacere e disinvoltura.
Il più grande insegnamento che ho tratto da tale frase è non seguire mai molto
la vita privata dei miei artisti preferiti, mi sono sempre volutamente
rifiutato di indagare su fatti privati e intimi di quello che è il lato umano
dei miei artisti preferiti per non esserne influenzato. La vita privata di un
uomo rende quello stesso uomo un prodotto specifico ogni giorno in maniera
diversa e non è necessario sapere se un artista assume droghe o ha
comportamenti riprovevoli quando quello che si apprezza è il suo risultato
musicale. Ho sempre considerato questo mio comportamento un importante fattore per
sentirmi genuino e distaccato. Credo che tale modo di approcciarsi al mondo
stravagante della musica debba essere un capostipite per tutti i ragionamenti e
le considerazioni che facciamo sia nella vita. Sapere che uno dei nostri idoli
si buca potrebbe indurci ad esaltarlo a priori se siamo convinti di essere
ribelli al sistema, quindi falsare le nostre considerazioni sul prodotto
musicale, così come potrebbe farci credere che sia un individuo da sdegnare, pregiudicando
alla stessa maniera le nostre considerazioni.
La musica è il linguaggio dell’universo e noi
dobbiamo comprenderlo per quello che la nostra sensibilità ci consente di
comprendere, non per quello che l’oggettiva comprensione detta.
Siamo uomini vacui e fragili, non siamo esecutori di
vita. Siamo interpreti di una vita che si evolve. Senza paura dobbiamo saper
affrontare le tempeste e le giornate di sole.
Living Things dei Linkin Park è stata per me una
grossa sorpresa. E’ un album pieno di incognite e allo stesso tempo una grande
conferma. Le incognite sono legate alla scelta stilistica di alcuni brani ma
più in generale a quello che è lo stile del marketing che lo accompagna, la
grande e unica conferma invece riguarda le capacità tecniche assolutamente
indiscutibili di una delle band che più di tutte produce musica di
indescrivibile qualità.
A differenza di A Thousand Suns non ho ricevuto la
stessa “sensazione generica” che lo ha contraddistinto dagli altri album,
sensazione di generale piacere diffuso. A Thousand Suns tra l’altro è arrivato
in un momento della mia vita molto particolare quindi indubbiamente ha generato
una serie di emozioni potenti che forse ai altri momenti non sarebbe stato
capace.
Living Things invece è arrivato dopo un grosso
movimento di marketing che in un certo senso ha lasciato che si sviluppassero
forti aspettative da parte dei fun e anche da parte del largo pubblico. Il
primo ascolto dell’album è stato un po’ deludente, devo ammetterlo senza
riserve. Non ho trovato né i Linkin Park che inventavano il New Rock all’inizio
del 2000 né uno sviluppo tecnico o concettuale o un cambio epocale di un gruppo
di ragazzi che scoprono la maturità artistica cambiando sentiero produttivo ed
espressivo. Dal secondo ascolto in poi Living Things è diventato un album che
se fosse uscito sotto il nome di “Pinco Pallino” avrebbe concorso alla
categoria “Miglior Rivelazione” ad un’edizione dei Grammy Awards. Dal terzo
ascolto in poi per dirla tutta era un disco che non aveva tantissime sorprese o
tantissimi stimoli ma diventava un disco già sentito.
Dopo In The End e Papercut nessuno mai si sarebbe
aspettato dischi come No More Sorrow, così come dopo A Thousand Suns nessuno si
sarebbe aspettato un album che all’acquisto in prevendita avrebbe promesso una
serie di remix. Vedere quella strana forzatura di comunicazione pubblicitaria
sia su facebook che su altri social network mi ha dato fastidio. I Linkin Park
non sono in commercio, non lo sono mai stati, i Linkin Park sono nell’anima di
chi li ascolta. Purtroppo dopo A Thousand Suns, disco concept, credo abbiano
dovuto sottostare anche loro alle leggi del mercato.
Ad ogni modo… descrivendo l’album… Nessun commento in
maniera assoluta, sulla qualità del prodotto. Per un tecnico come me le tracce
anzi, tutto il disco suona in una maniera incredibile. Il master come sempre
supera ogni aspettativa. L’apertura affidata a Lost In Echo è azzeccata.
L’ascolto inizia con un forte impatto e lascia un senso di attesa, un senso di
coinvolgimento incredibili. Non ho analizzato i testi di tutti i brani come ho
fatto per A Thousand Suns, lo farò in seguito magari. In My Remains come
seconda traccia lascia un po’ in bocca il sapore del “mi aspettavo di più”.
Sembra un disco da classifica popolare ma allo stesso tempo non ne possiede le
potenzialità, infatti non è entrato in classifica. Burn It Down come singolo
lancio è l’esatto messaggio ibrido di tutto il disco. Chi ha acquistato come me
il disco in anteprima ha ricevuto diversi remix di producer internazionali, ma
anche qui siamo sul “facciamo cassa” ma non ci sono riusciti come avrebbero
voluto. Lies Greed Misery riapre le speranze dell’ascoltatore affamato di new
rock. Sembra un pesce fuor d’acqua inserito in questo disco tendente al
popolare. Spacca, spacca la ritmica, spacca la metrica, spacca la potenza
dell’elettro rock, riporta il prodotto quasi alla dimensione originale dei
Linkin. I’ll Be Gone mi ha riportato quasi alla media dell’album se non fosse
stato per la potenza vocale di Chester. Sesta traccia… sesta traccia scinde il
sapere umano in due. Sesta traccia di Living Things dei Linkin Park è la
rivelazione che si attende quando si compra un prodotto di Mister Shinoda &
Friends. Nessuna parola per definire l’esplosione atomica di questo disco che
al primo ascolto mi ha catapultato in una dimensione parallela. Victimized è la
settima traccia. Difficile da comprendere, brevissima, potente e dolce. Ha le
carte per essere un disco dei Linkin Park peccato solo non sia stata inserita
in Hybrid Theory ad esempio. Roads Untraveled è concept, intima, Roads
Untraveled è il pezzo intimo del disco. Skin To Bone si apre con un sound
altamente accattivante, potente dal punto di vista tecnico e dal forte impatto
elettro. Segue un po’ la scia del precedente ma in fondo in fondo lascia un po’
l’illusione che prima o poi stupisca. Infine eccoci a Until It Breaks… altro
pezzo che esce dal disco. Breve, quasi un teaser, tecnico, rude, carico di
effetti, urban. Chester arricchisce per un attimo uno dei brani più belli del
disco con una voce distorta che spacca l’equilibrio di quella metrica e
aggressiva di Mike. Mike Shinoda è senza dubbio un fottuto genio e Chester
Bennington un maledetto fenomeno… Concludere un disco del genere, ibrido dal
punto di vista dell’originalità, parziale dal punto di vista del colpo al
cuore, un po’ scarso dal punto di vista delle aspettative spetta a Tinfoil e
Powerless, legate indissolubilmente. Musica riconoscibile e voce emozionale di
Chester che riesce comunque a commuovere. Mostra il lato vero di chi si lascia
andare davanti all’ammissione della propria sconfitta.
Avevo il sentore che dopo A Thousand Suns non ci
sarebbe stato un lavoro altrettanto sperimentale, considerando le maledette
leggi del mercato, ma avrei voluto rimangiarmi le aspettative. Mi manca l’esasperazione
della voce di Chester in Points Of Authority e mi manca la capacità di
ascoltare parti strumentali più complesse. Mi manca la sovrapposizione di Mike
su Chester, mi manca quel senso di violenza che nasceva da brani rock
contaminati dall’elettronica sperimentale come Bleed It Out o quel sapore di
pop metal rock di New Divide…
Sensazioni. Emozioni. Ricordi. Comunque sia non
ringrazierò mai abbastanza i Linkin Park per quello che mi hanno regalato… allo
stesso tempo non li odierò mai abbastanza per non essere mai venuti a Roma…
Per me?
Numero uno:
A Thousand Suns.
Numero due:
Hybrid Theory.
Numero tre:
Minutes To
Midnight.
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