sabato 4 giugno 2011

jovanotti

C'era una volta un ragazzo normale, che faceva una vita normale, che aveva amici normali, cresciuto in un paese normale. Essere normali non significa però essere inferiori, visto che oggi sembra che sia obbligatorio essere supersonici, significa essere proprio normali, cioè avere le potenzialità che possono avere tutti gli altri, partire da zero.
Con il passare del tempo quel ragazzo normale, che gradualmente sviluppava capacità e sensibilità che molti suoi coetanei normali non avevano voglia di coltivare, cresceva in una direzione anormale. Era un ragazzo che aveva preso dal proprio interno, dalle proprie profondità, una lunga serie di emozioni, un ragazzo che giorno dopo giorno aveva messo le proprie emozioni a confronto con quelle che dall'esterno lo sollecitavano. Era un ragazzo normale che cresceva dentro e fuori, a volte senza rendersene conto, altre volte invece con piena consapevolezza. Un ragazzo normale, con un nome normale. Si chiamava Lorenzo. Avrebbe potuto avere qualsiasi altro nome normale, come per esempio Mauro.
Insieme a lui molti altri ragazzi normali avevano la stessa voglia di crescere, di scoprire, di imparare, di inventare. Alcuni potevano stare vicino a lui, condividere con lui le scoperte e le delusioni, altri invece osservavano da lontano pensando ciclicamente "Anche lui, così come me, è arrivato a questo!".
La storia di Lorenzo oggi, anzi "Ora" un ragazzo normale come tanti altri, potrebbe essere raccontata in mille modi diversi, da esperti giornalisti, da bravi narratori, persino da registi. Io da ragazzo normale non posso raccontare che una breve storia che riguarda lui e me, due ragazzi simili, uno più grande che ha iniziato prima, uno più giovane che lo ha guardato, ammirato, stimato e che inconsapevolmente ha cercato di percorrere quasi la stessa strada. Posso solo raccontare una breve storia fatta di percorsi, tappe, pause, paure e vittorie.
Forse faccio il deejay perchè lui era deejay, forse amo la radio perchè lui lo sentivo in radio, forse amo la notte perchè lui la raccontava nelle canzoni e nelle sue storie. Forse ho letto libri di Herman Hesse perchè lui li citava, forse ho cercato di far parte di una tribù perchè lui ne aveva creata una. Forse ho scritto testi in rima perchè ascoltavo i suoi. Fatto sta che da canzoni semplici e divertenti di ventanni fa oggi arriva a scrivere "Il più grande spettacolo dopo il Big Bang siamo noi" e io ancora non posso fare a meno di riconoscermi in lui e in una generazione che ha tanto bisogno di semplicità invece che artifici e che resta troppo spesso vittima delle apparenze invece di scavare a fondo nello spirito. Sebbene non tutta la sua produzione sia stata nel mio cuore conservo gelosamente la sensazione che ho quando penso a Lorenzo Cherubini, che mi ha insegnato a portare jeans strappati, cappello storto, vestiti larghi, che mi ha insegnato sorrisi e serietà, che mi ha dimostrato che soldi e fama non danno felicità assoluta. Lorenzo mi ha insegnato che bisogna affrontare e anche sbagliare. Mi ha insegnato che si possono avere dei fratelli maggiori anche se stanno a diversi chilometri di distanza.
 Ricordo ancora come fosse ieri, un pomeriggio d'estate di tanti anni fa quando attraversando piazza Mazzini con il mio migliore amico e vidi Lorenzo e Saturnino sul motorino che andavano chissà dove...
Lorenzo rappresenta l'evoluzione della mia generazione, dall'adolescenza alla maturità. L'evoluzione che ho avuto io dalla scuola al lavoro, dalla famiglia alla responsabilità. Sono contento di ascoltare ancora la sua voglia di inventare e sono contento che esistano ancora persone normali che hanno voglia di essere normali insieme a tutti gli altri normali. Siamo normali perchè abbiamo tutti qualcosa da scambiare.

Il più grande spettacolo dopo il Big Bang siamo noi.